Blocco 181: il crime all'italiana riparte da Salmo - La recensione

2022-05-21 10:10:32 By : Mr. Rain High

Con gli anni, è diventato un vero e proprio genere. Stiamo parlando del crime all’italiana, un filone lanciato senza dubbio in televisione da Sky, con serie come Romanzo criminale e Gomorra, e poi proseguito con serie come ZeroZeroZero e la recente Christian (in cui alle ambientazioni tipiche del genere si univano tematiche sovrannaturali). L’ultimo esempio di questa rinascita del genere all’italiana è Blocco 181, la prima serie italiana interamente prodotta da Sky Studos in house. Ideata da Paolo Vari, Francesca De Lisi, Dario Bonamin, Mirko Cetrangolo e Marco Borromei e diretta da Giuseppe Capotondi con Ciro Visco e Matteo Bonifazio, la serie conta nel cast tecnico anche il rapper Salmo, in veste di supervisore e produttore musicale, produttore creativo e attore. Blocco 181 non è “la serie di Salmo”, ma indubbiamente sarà percepita così, anche se sullo schermo il rapper ha un ruolo per ora solamente di supporto.

Blocco 181 inizia rispettando le coordinate ormai stabilite dalle serie precedenti: degrado urbano, periferie lasciate a se stesse, conflitti tra gang che si nutrono di odio etnico. In mezzo a tutto questo, come in Christian ma senza i superpoteri, sboccia qualcosa di bello e puro: in questo caso una storia d’amore, che trascende l’appartenenza sociale o l’affiliazione criminale, tra Bea (Laura Osma), Ludo (Alessandro Piavani) e Mahdi (Andrea Dodero). Un “Giulietta, Romeo e Romeo”, come l’ha definita il produttore Nils Hartmann, che si propone non come l’ennesima serie crime “realistica”, ma come una sorta di favola nera sulle periferie.

In questo caso la periferia è quella milanese, anziché quella romana o napoletana, ma la sostanza cambia poco. Nel mezzo di una faida tra bande che rischia di trasformarsi in guerra, quella tra gli italiani del “Blocco” e i latinoamericani della “Misa”, i tre protagonisti si incontrano, si innamorano contro ogni previsione e decidono di fare nucleo famigliare a sé, prendendo il controllo di parte del business della cocaina milanese. Non fosse per l’elemento sentimentale, la premessa ricorderebbe molto quella di Suburra – La serie. In effetti, va detto, Blocco 181 non parte benissimo: molto di quello che ci viene mostrato nel primo episodio lo abbiamo già visto ripetutamente, e siamo arrivati a un punto in cui anche il più strenuo difensore delle serie crime ha iniziato a mettere in dubbio l’utilità di presentare più e più volte dei criminali come figure eroiche. Qui per lo meno si parla di micro-criminalità e non di mafia, ma ciò non toglie che i tre protagonisti siano ritratti sotto una luce tendenzialmente positiva: Mahdi, pur essendo il braccio destro di un boss locale, è sostanzialmente un bravo ragazzo. Ludo è un ragazzo della ricca borghesia che fa il “cavallino”, cioè consegna la coca a domicilio in scooter, perché gli piace. Bea ha un arco da female empowerment: vive in una società maschilista, la Misa, che non le permette di emergere, e così decide di fare le cose a modo suo.

Indubbiamente il materiale è problematico e l’assenza di ambiguità sulla natura positiva del trio non aiuta. Ma sarebbe ipocrita dire che Blocco 181 non trova una sua strada, se non originale, per lo meno appassionante, supportata da una messa in scena di livello alto, una commistione stilosa di immagini e musica, montaggio e fotografia, che avvolge lo spettatore variando la formula rispetto allo standard di queste serie. Qui non ci sono solo periferie degradate, ma anche il lusso decadente della Milano ricca, tra cemento, vetro e acciaio. Una metropoli moderna e internazionale servita da uno stile moderno e internazionale, per una serie che ha decisamente molto appeal anche al di fuori del nostro Paese.

Per una volta, per lo meno nei sei degli otto episodi che abbiamo potuto vedere in anteprima, il focus non è la guerra tra bande o l’ascesa al potere, ma la libertà di vivere e amare come si vuole, al di là di quello che la società ci impone. Bea, Ludo e Mahdi vogliono solo affrancarsi dalle loro famiglie “di sangue”, tagliare i ponti con tutti per creare qualcosa di nuovo ed essere indipendenti da doveri e riti autodistruttivi che si perpetuano in eterno. L’unico modo in cui sanno farlo è il crimine: è ciò che hanno sempre fatto e per loro è solamente uno strumento, non un credo o uno stile di vita. È insomma tutta una grande metafora della crescita, della rottura del cordone ombelicale, del conflitto tra vecchie e nuove generazioni in un mondo che sta cambiando, il tutto riletto attraverso un filtro crime.

Blocco 181 contiene certamente degli stereotipi, alcune cadute di tono e, a volte, dialoghi da fiction, ma procede spigliata e il viaggio dei protagonisti sa appassionare. Capotondi e la sua squadra danno anche un’ottima direzione agli attori. Spicca in particolare proprio Salmo, che ha preso lezioni di recitazione e si vede: il suo Snake, gangster dall’aspetto truce ma più complesso di come appare, è uno degli elementi più interessanti della serie (specialmente il rapporto con il suo vecchio e malato rottweiler). È strano, per una volta, sentire i personaggi parlare con un accento diverso rispetto al romanesco a cui siamo abituati. Qui, per evidente scelta creativa, tutti parlano in un italiano anche troppo forbito rispetto all’ambientazione (a parte chi parla in spagnolo). Eppure Capotondi riesce a evitare il “doppiaggese” delle fiction di Rai Uno, creando un linguaggio nuovo e credibile a metà strada tra un parlato naturale e la drammaticità dei dialoghi delle serie americane.

Insomma, Blocco 181 non sarà la serie più innovativa mai realizzata in Italia, ma se non altro, pur all’interno di una struttura prestabilita dalla rete, cerca di trovare una sua strada e dire qualcosa di diverso rispetto al “Ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost” della media delle serie crime italiane. Un passo piccolo ma benvenuto.

Blocco 181 andrà in onda dal 20 maggio su Sky (e in streaming su NOW) al ritmo di due episodi a settimana. QUI ne potete vedere il trailer.

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