Il programma del Teatro Bellini di Napoli, al via la stagione 2021 - 2022. – Agendaonline.it

2021-12-28 08:23:33 By : Mr. MIN QIAN

Quali sono gli spettacoli teatrali in cartellone al teatro Bellini di Napoli? A che ora inizia lo spettacolo? Quanto costano i biglietti? I ticket degli eventi sono in vendita online?

Non di rado le rappresentazioni vengono annullate e le date modificate. Per questo motivo, Agendaonline.it invita i suoi lettori a contattare, sempre, il botteghino del teatro Bellini di Napoli o l’ufficio informazioni per avere certezze sulle date e sugli orari degli appuntamenti in programma.

*La redazione ringrazia l’Ufficio Stampa e Comunicazione del Teatro Bellini per la preziosa collaborazione

Il Teatro è situato nei pressi della centralissima piazza Dante nel cuore antico della città di Napoli.

E’ raggiungibile dal centro e da ogni parte della città facilmente, con gli autobus che stazionano in piazza Dante,con la Metropolitana (fermata piazza Cavour),con la Cumana (fermata Montesanto),con la Funicolare (fermata Montesanto). Dalle autostrade scegliere le uscite della tangenziale “Capodimonte” o “Doganella.

Per informazioni sugli orari e le date degli spettacoli e per l’acquisto dei biglietti telefonare allo 081 5499688.

Il “Teatro Bellini di Napoli “, contende il primato di bellezza ai maggiori teatri italiani.

La prima attività si tenne nel 1864 ma il trionfo vero arrivò nel 1879.

Il teatro Bellini di Napoli è sfarzosamente decorato, con ori e drappi e mantiene ancora oggi l’antico splendore. Nonostante la pregevolezza artistica dell’opera architettonica del Bellini, l’edificio ha dovuto subire nel corso degli anni, l’onta dell’abbandono e del degrado, tanto che nel 1962, al Bellini si tenne l’ultimo spettacolo prima della restaurazione, il Masaniello di Nino Taranto.

Ci volle più di un ventennio prima che il Bellini di Napoli riaprisse i battenti e da allora ha riacquistato la centralità nella tradizione culturale e teatrale napoletana.

Per la sua ennesima inaugurazione, il Bellini ospitò “L’opera da tre soldi” messa in scena da Tato Russo.

Oggi, il glorioso teatro riesce ad offrire ogni anno un cartellone di tutto rispetto, che compete alla pari con la programmazione dei maggiori teatri italiani.

Attualmente ha una capienza di 1.200 spettatori e propone una stagione di prosa, musical e lirica.

Molto apprezzata anche la produzione del teatro Bellini di Napoli che ogni anno va in scena in alcuni dei più importanti teatri italiani.

Lavori diversissimi per genere e “personalità” che costituiscono, però, un progetto produttivo unico, un racconto articolato che affianca alla voce di grandi autori e grandi maestri quella della nuova drammaturgia e di compagnie giovani.

di Patrick Marber ispirato al Don Giovanni di Molière regia Gabriele Russo con Federica Altamura, Alfredo Angelici, Joele Anastasi, Noemi Apuzzo, Claudio Benegas, Claudia D’Avanzo, Mauro Marino, Alfonso Postiglione, Daniele Russo, Arianna Sorrentino scene Roberto Crea costumi Chiara Aversano light design Salvatore Palladino sound design Alessio Foglia produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

Gabriele Russo firma l’allestimento di Don Juan in Soho, la commedia in cui Patrick Marber (candidato all’Oscar per la sceneggiatura di Closer), partendo dal Don Giovanni di Molière, racconta le vicende dello spregiudicato DJ, (interpretato da Daniele Russo). Un Don Giovanni contemporaneo, antieroe fascinoso, amorale e ambiguo, ma al tempo stesso sfacciatamente autentico, che si muove tra le mille luci di Soho, il quartiere della trasgressione londinese. Intorno a lui ruotano un caleidoscopio di tipi umani: l’escort, l’arrivista, la radical chic e una Elvira attivista ecologista, impegnata nella difesa di un ecosistema sostenibile, che il regista immagina come una Carola Rakete dei nostri giorni. Gabriele Russo, a proposito della scelta del testo ci racconta “Dopo sedici mesi di chiusura, la scelta non può non essere condizionata dal vissuto dell’ultimo anno e mezzo e dalle riflessioni sulla funzione del teatro che ne sono conseguite: edonismo, narcisismo, necessità di godere a ogni costo, desiderio di desiderio… Don Giovanni è un emblema di ciò che è inaccettabile, c’è però una radicalità nuova nel suo personaggio: quella di non recitare un ruolo, ma di esserlo. Allo stesso modo diventano radicali e corrispondenti al presente le domande che porta con sé questo specifico modo di agire: pur di sopravvivere e mantenere un’apparenza di vita immutata rispetto al passato, fino a che punto sono disposto a sacrificare le mie libertà?”. È a partire, dunque, da un tema universale che saliremo  insieme a un cast composto da 9 straordinari attori sulla giostra della vita di questo Don Juan contemporaneo, tradotta scenicamente da Roberto Crea in un grande rettangolo girevole.

dal romanzo di John Steinbeck ideazione e voce Massimo Popolizio adattamento Emanuele Trevi musiche eseguite dal vivo da Giovanni Lo Cascio suono Alessandro Saviozzi luci Carlo Pediani creazioni video Igor Renzetti e Lorenzo Bruno produzione Compagnia Umberto Orsini – Teatro di Roma – Teatro Nazionale

Nell’estate del 1936, il San Francisco News chiese a John Steinbeck di indagare sulle condizioni di vita dei braccianti spinti in California dalle regioni centrali degli Stati Uniti, soprattutto dall’Oklahoma e dall’Arkansas, a causa delle terribili tempeste di sabbia e dalla conseguente siccità che avevano reso sterili quelle terre coltivate a cotone. Il risultato di quell’indagine fu una serie di articoli da cui l’autore americano generò, tre anni dopo, nel 1939, il romanzo Furore.

Quell’esperienza giornalistica, umana e politica è diventata grande letteratura e oggi un potentissimo Massimo Popolizio le presta corpo e voce, nell’adattamento firmato da Emanuele Trevi.

In Furore, così come nel suo fortunato Ragazzi di vita, andato in scena nel 2019 al Teatro Bellini, Popolizio si ritaglia il ruolo del narratore onnisciente per raccontare la più devastante migrazione di contadini della storia moderna, dando vita a un one man show epico e lirico, realista e visionario, drammatico e ironico, a cui i suoni dal vivo del percussionista Giovanni Lo Cascio e lo schermo su cui sono proiettati artwork e foto d’epoca in bianco e nero donano un interessante effetto cinematografico. Il risultato è un lavoro senza tempo, che racconta le dinamiche dell’ingiustizia sociale attraverso le storie e le emozioni dei singoli. Tutto, nel suo lungo racconto, sembra prendere vita con i contorni più esatti e la forza d’urto di una verità pronunciata con esattezza e compassione.

di Patrick Marber traduzione Marco Casazza adattamento Andrej Longo con Nello Mascia, Andrea Renzi, Simone Mazzella scene Luigi Ferrigno costumi Anna Verde luci Pasquale Mari colonna sonora Marcello Cotugno regia Marcello Cotugno coproduzione La Pirandelliana/Teatri Uniti

Marcello Cotugno prosegue la sua indagine sulla drammaturgia in lingua inglese affrontando per la seconda volta un testo di Patrick Marber: dopo Closer – la pièce con cui Marber ha trionfato a Londra e Broadway e da cui è stato tratto l’indimenticabile film diretto da Mike Nichols con Jude Law, Clive Owen, Natalie Portman e Julia Roberts – sceglie The Red Lion, una commedia amara ambientata nel mondo del calcio dilettantistico.

Siamo nello spogliatoio di una piccola squadra di calcio di provincia, che nell’adattamento di Andrej Longo è una provincia della Campania, luogo di sogni e speranze, dove l’allenatore e l’anziano factotum  – Nello Mascia e Andrea Renzi, già coppia calcistica ne L’uomo in più, il magnifico esordio di Paolo Sorrentino  – cercano di speculare sul talento calcistico di un giovane atleta, interpretato dal talentuoso Simone Mazzella. Si parla di calcio solo in superficie, perché sin da subito lo spettacolo mostra la sua vera natura di metafora della vita, in cui la storia è solo un pretesto e le contraddizioni del mondo del calcio suggeriscono una riflessione universale, spietata e ironica, sul concetto di lealtà e sul senso di appartenenza. Il racconto si dipana dinamico e convincente, grazie alla regia sapiente e alla bravura degli interpreti, in una continua alternanza fra i momenti di profondo lirismo e dialoghi crudi e funzionali, a restituire tutta la mediocrità e la violenza dello spogliatoio che appare ben lontano dall’essere un luogo di formazione ai valori sportivi.

drammaturgia e regia Joele Anastasi con Joele Anastasi, Federica Carruba Toscano, Eugenio Papalia, Enrico Sortino aiuto regia Giuseppe Cardaci, Enrico Sortino set designer Giulio Villaggio light-designer Martin Emanuel Palma, foto Dalila Romeo, video Giuseppe Cardaci, coreografia Fertango scenotecnica Alovisi uno spettacolo di Vuccirìa Teatro Produzione Fondazione Teatro Di Napoli – Teatro Bellini

Dopo Io mai niente con nessuno avevo fatto e Immacolata Concezione – spettacolo che quest’anno, a grande richiesta, tornerà al Piccolo Bellini – finalmente in scena al Bellini l’ultimo lavoro di Vùcciria Teatro:David, una storia dalla forte valenza simbolica e dall’estetica raffinata che la compagnia ha presentato in prima assoluta nell’ambito del Napoli Teatro Festival 2020. «Sangue mio! Fratello mio! Lo vedi? Finalmente mi vedi? Questa mia preghiera per te, tu per sempre la porterai con te, fino a quando di te non resterà solo un buco, un solco profondo che dal tuo cuore getterà via tutto il sangue. E per questo tu mi amerai all’infinito. E mai più questa nostra carne potrà dividerci e senza timore, io sarò in te. Come il mare che si specchia nei tuoi occhi. Senza paura ci ricorderemo della nostra promessa e di quando noi abbiamo unito il tempo. Perché io sono te. Perché tu, sei me. Vieni qua, fratello mio. Vieni da me. Stiamo nascendo un’altra volta, sangue mio. Come il mare che si specchia nei nostri occhi». È con queste parole che Joele Anastasi racconta la genesi di David, uno spettacolo che nasce dalla sua storia personale, attraversando un doppio piano espressivo. Il lavoro si configura in primo luogo come la rappresentazione ideale e artistica di un fratello, ma soprattutto è simbolo di una grande assenza. Attraverso le vicende di una famiglia che ha cristallizzato la presenza di un posto vuoto ad una tavola in un’ingombrante icona, David si converte in un rito che incarna un atto iconoclasta, liquefacendosi in materia.

di Pupi Avati adattamento  Sergio Pierattini con Gigio Alberti, Giovanni Esposito, Valerio Santoro, Gennaro Di Biase, Pierluigi Corallo scene Luigi Ferrigno costumi Alessandro Lai luci Pasquale Mari regia Marcello Cotugno una produzione La Pirandelliana

È la notte di Natale e quattro amici di vecchia data, Lele, Ugo, Stefano e Franco, si ritrovano per giocare a poker; hanno organizzato la partita con un “quinto”, l’avvocato Santelia, un industriale molto ricco e molto noto nel giro per le sue ingenti perdite: il classico pollo da spennare. Gli amici decidono compatti di provare a battere l’avvocato, cosa che per Franco significherebbe ottenere la cifra necessaria a ristrutturare il cinema di cui è proprietario; è solo per questa ragione che decide di partecipare alla serata, nonostante un antico screzio mai risolto gli renda difficile condividere la serata con Ugo. Tutto contribuisce ad alimentare la tensione e ad alzare la posta in gioco, in breve la partita di poker si trasforma in qualcosa di molto più grosso e in un attimo, sul piatto non ci sono più solo dei soldi, ma anche il bilancio della vita di ognuno dei presenti: i fallimenti, le sconfitte, i tradimenti, le menzogne, gli inganni. Marcello Cotugno dirige la trasposizione teatrale dell’indimenticabile film di Pupi Avati spostando l’azione dal 1986 ai giorni nostri e scegliendo Gigio Alberti, Giovanni Esposito, Valerio Santoro e Gennaro Di Biase e PIerluigi Corallo per incarnarne tutta la profondità e l’amaro umorismo. Una riflessione cinica e graffiante sull’amicizia, sul ruolo del destino e sui valori della vita, che, grazie a uno sguardo lucido e tagliente, riesce a mantenere un perfetto equilibrio tra commedia e dramma.

durata 2 ore e 20 minuti compreso intervallo

di Annibale Ruccello con Daniele Russo e Sergio Del Prete, scene Lucia Imperato, costumi Chiara Aversano, disegno luci Salvatore Palladino progetto sonoro Alessio Foglia regia Gabriele Russo produzione Fondazione  Teatro  di Napoli – Teatro Bellini

Dopo il successo di pubblico dell’ultima stagione e il recente riconoscimento di critica al Premio Le Maschere del Teatro italiano (miglior attore protagonista a Daniele Russo e due nomination, per i costumi di Chiara Aversano e le scene di Lucia Imperato), torna Le cinque rose di Jennifer, uno dei testi più simbolici del drammaturgo napoletano Annibale Ruccello. Jennifer è un travestito romantico che abita in un quartiere popolare della Napoli degli anni ’80. Chiuso in casa per aspettare la telefonata di Franco, l’ingegnere di Genova di cui è innamorato, gli dedica continuamente Se perdo te di Patty Pravo alla radio che, intanto, trasmette frequenti aggiornamenti sul serial killer che in quelle ore uccide i travestiti del quartiere. Il regista Gabriele Russo, per la prima volta alle prese con un testo di Ruccello, così lo descrive: «ci atteniamo alle rigide regole e alle precise indicazioni che ci dà l’autore stesso cercando di attraversare, analizzare, capire sera per sera, replica dopo replica un testo strutturalmente perfetto, che delinea un personaggio così pieno di vita che pare ribellarsi alla mano di una regia che vuole piegarlo alla propria personalissima visione. Non è un testo su cui sovrascrivere ma in cui scavare, per tirare fuori sottotesti, possibilità, suggestioni, dubbi». In scena, accanto a Daniele Russo, Sergio Del Prete nel ruolo di Anna, amica e confidente di Jennifer.

di e con Davide Enia

musiche composte ed eseguite in scena da Giulio Barocchieri

spettacolo tratto da Appunti per un naufragio(Sellerio editore) vincitore del Premio letterario internazionale “Mondello”

co-produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Teatro Biondo Palermo, Accademia Perduta/Romagna Teatri

in collaborazione con Festival Internazionale di Narrazione di Arzo

«Il primo sbarco l’ho visto a Lampedusa assieme a mio padre. Approdarono al molo in tantissimi, ragazzi e bambine, per lo più. Io ero senza parole. Era la Storia quella che ci era accaduta davanti. La Storia che si studia nei libri e che riempie le pellicole dei film e dei documentari». Così Davide Enìa racconta il punto da cui è partito per arrivare ad Abisso, lo spettacolo, di cui è autore, regista e attore, con cui ha incantato il pubblico dei più prestigiosi teatri italiani.

Dopo quel primo sbarco, l’artista ha trascorso molto tempo sull’isola, per raccogliere testimonianze reali, parlare con i pescatori, il personale della Guardia Costiera, i residenti e i medici, i volontari e i sommozzatori, per provare a comprendere fino in fondo e per riuscire a raccontare. La prima tappa della sua indagine è confluita nel romanzo Appunti per il Naufragio, in cui la vicenda degli sbarchi si intreccia con le vicende personali sue e dei suoi familiari e amici, in un racconto tragico in cui non mancano i momenti leggeri, a tratti comici.

Abisso è la seconda tappa di questo viaggio, un cunto siciliano che fonde al suo interno i più diversi linguaggi teatrali, dal canto, al gesto, alla musica, riuscendo a raccontare una delle più grandi tragedie della nostra contemporaneità attraverso la vita. Le musiche originali eseguite dal vivo dalla doppia chitarra (acustica ed elettrica) di Giulio Barocchieri completano la straordinaria performance-testimoniaza di Davide Enia, accompagnando il flusso di emozioni.

ideazione e regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò

con Silvia Calderoni, Stefania Tansini e R.Y.F. (Francesca Morello) alle musiche e lyrics

una produzione Motus con Teatro di Roma, Kunstencentrum Vooruit (BE)

progetto di residenza condiviso da L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale – Centro di Residenza Emilia-Romagna e Santarcangelo dei Teatri -in collaborazione con AMAT e Comune di Fabriano nell’ambito di “MarcheinVita. Lo spettacolo dal vivo per la rinascita dal sisma” progetto di Mibact e Regione Marche coordinato da Consorzio Marche Spettacolo -con il sostegno di MiC, Regione Emilia-Romagna

si ringraziano HĒI black fashion, Gruppo IVAS

Motus, la compagnia indipendente che ha fatto del superamento di tutti i confini fisici ed esistenziali il suo principale territorio di ricerca, è per la prima volta in scena al Bellini con il suo ultimo dirompente lavoro: Tutto Brucia. Già il titolo, che riprende le parole di Cassandra nella riscrittura delle Troiane di Jean Paul Sarte, mette a nudo la traiettoria del progetto «Da tempo avevamo desiderio di continuare lo scavo, dopo il viaggio dentro l’Antigone – raccontano gli autori – fra le più scomode figure femminili del tragico che ancora oggi riverberano. La ricerca è cominciata prima del lockdown e ora assume inevitabilmente altra luce e urgenza. La pandemia e il disastro climatico segnano la fine di un’epoca e Le Troiane iniziano con una fine […] Ilio è già stata distrutta. Le donne, ridotte a bottino di guerra, di lì a poco partiranno per mare, schiave, verso territori stranieri. […] Durante la pandemia, le cerimonie per i morti sono state sospese, e i corpi sono stati sepolti d’ufficio, di nascosto, in silenzio, senza saluto. Lo stesso accade per i corpi migranti morti in mare, per i clandestini o per le prostitute giustiziate dal sistema della tratta. Quali vite contano, dunque? Cosa rende una vita degna di lutto? Ripartiamo da queste domande urticanti per costruire Tutto Brucia che sarà inevitabilmente oscuro, ma colmo di abbacinante furore». L’impeto visionario dello spettacolo diventerà sostanza in scena attraverso i corpi di tre straordinarie performer: Silvia Calderoni – attrice totem di Motus – Stefania Tansini e R.Y.F (Francesca Morello).

di Hanif Kureishi traduzione Monica Capuani regia Filippo Dini con Filippo Dini, Valerio Binasco scene Laura Benzi costumi Katarina Vukcevic  luci Pasquale Mari musiche Aleph Viola    aiuto regia Carlo Orlando assistente regia Giulia Odetto produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale per gentile concessione di The Agency (London)

Siamo a Londra, Sonny e Vargas sono amici da molti anni, il primo è dentista, il secondo è farmacista; lavorano nella stessa strada, a poche decine di metri di distanza. Entrambi sono figli di immigrati, e Londra – dove i loro genitori si sono trasferiti con grandi sacrifici – ha regalato loro un notevole upgrade socioeconomico, il successo professionale e una vita agiata. Entrambi hanno una famiglia e dei figli e il loro è un rapporto fatto di frequentazione e confidenza, ricco di conversazioni sulle banalità del quotidiano e sui massimi sistemi, generalmente scandite da pinte di birra. Le consumano sempre nello stesso pub, lo Spankies, un locale un po’ fatiscente, che è il loro luogo del cuore, il modesto ma amatissimo santuario della loro amicizia. Un giorno, però, un piccolo incidente insignificante mette in moto una reazione a catena che – complici le insidie della tecnologia – sconvolge in maniera irreparabile le loro vite.

Debutta nella traduzione di Monica Capuani l’ultimo lavoro per la scena del drammaturgo, regista e sceneggiatore di fama planetaria Hanif Kureish, uno spettacolo evento che racconta, con ironia e sarcasmo, lo spaesamento dinanzi alla contemporaneità. La lente attraverso cui si guarda è quella delle dinamiche di un’amicizia di vecchia data e a interpretarla non è un caso che ci siano due grandi artisti e grandi amici nella vita: Filippo Dini e Valerio Binasco, insieme in scena per la prima volta.

traduzione Monica Capuani regia Antonio Latella con Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Ludovico Fededegni, Paola Giannini drammaturga Linda Dalisi scene Annalisa Zaccheria costumi Graziella Pepe musiche e suono Franco Visioli luci Simone De Angelis assistente al progetto artistico Brunella Giolivo assistente volontaria alla regia Giulia Odetto  produzione Teatro Stabile dell’Umbria con il contributo speciale della Fondazione Brunello e Federica Cucinelli

Torna sul palco del Bellini l’iconico testo del tre volte premio Pulitzer Edward Albee che, dopo il debutto a Broadway nel 1962 è stato rappresentato in tutto il mondo, diventando un classico del teatro contemporaneo, oltre che un film diretto da Mike Nichols e interpretato da Richard Burton e Elisabeth Taylor. Oggi, la storia della doppia coppia che ha spiazzato il pubblico borghese degli anni ’60 scoperchiando, tra fiumi d’alcool in scena, tutte le frustrazioni, le ipocrisie e le contraddizioni del ceto medio, è nelle mani di Antonio Latella che lo allestisce nella nuovissima traduzione di Monica Capuani.

Il regista parte dall’analisi del testo: «un testo realistico, ma che diventa visionario per la potenza del linguaggio, per la maniacalità della punteggiatura e per la visionarietà, dovuta ai fumi dell’alcool e alle vertiginose risate che divorano e fagocitano i protagonisti. Albee – prosegue Latella – nel rifuggire ogni sentimentalismo, applica una sua personale lente di ingrandimento al linguaggio che sente parlare intorno a sé, ne svela i meccanismi di ripetizione a volte surreali che portano ad uno svuotamento di significato, ma come spesso accade in questo testo, parallelamente mostra come il linguaggio sia un’arma efferata per attaccare e ridurre a brandelli l’involucro in cui ciascuno di noi nasconde la propria personalità e le proprie debolezze. Per fare tutto questo ho voluto circondarmi di un cast non ovvio, non scontato, un cast che possa spiazzare e aggiungere potenza a quella che spesso viene sintetizzata come una notturna storia di sesso ed alcool». Così, saranno i per niente scontati Vinicio Marcioni e Sonia Bergamasco, una coppia inedita e potente, a prestare il volto a George e Martha; accanto a loro, i giovani e talentuosi Ludovico Fededegni e Paola Giannini.

durata 3 ore e 15 minuti compreso intervallo

uno spettacolo di Carrozzeria Orfeo drammaturgia Gabriele Di Luca

regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi

con (in o.a.) Elsa Bossi (Patty), Ambra Chiarello (Hope), Federico Gatti (Igor), Pier Luigi Pasino (Mosquito/Mohamed), Beatrice Schiros (Clara), Massimiliano Setti (Cesare), Federico Vanni (Plinio)

Si ringrazia Barbara Ronchi per la voce della moglie.

scenografia e luci Lucio Diana

una coproduzione Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

in collaborazione con il Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna “L’arboreto Teatro Dimora | La Corte Ospitale”

Dopo Animali da Bar e Cous Cous Klan, Carrozzeria Orfeo torna con un altro lavoro dal profondo senso politico ed esistenziale ma dalla comicità irresistibile.

Lo scenario è apocalittico: le fogne cittadine, sature di spazzatura e rifiuti tossici, stanno allagando la città, per cui la popolazione è chiusa in casa. Il protagonista, Plinio, uno chef stellato caduto in disgrazia, cucina e consegna a domicilio cibi precotti importati dalla Cina in una vecchia carrozzeria riadattata, attività che gestisce insieme alla moglie Clara, ex lavapiatti ed ora improbabile imprenditrice. Con loro vive Igor, figlio di Clara, un ragazzo problematico di 19 anni che passa le sue giornate a giocare ad un videogame sulla guerra. Come se non bastasse, si unisce alla famiglia Patty, la settantenne madre di Plinio, ex brigatista che ha speso la vita a liberare i popoli di mezzo mondo dalle dittature di destra ed è tornata in Italia per combattere la sua ultima battaglia: sventare l’elezione di un governo fascista. Intorno a loro, si muovono gli altri personaggi, completando il quadro tragicomico della vicenda, che scorre velocissima tra battute fulminanti e riflessioni esistenziali.

“Ho scritto il testo a ottobre, prima del Covid-19, già immaginando una società chiusa ormai in casa, perché il pianeta le si è rivoltato contro – racconta Gabriele Di Luca – Se in Cous Cous Klan a mancare era l’acqua, stavolta le fogne stanno esplodendo, i trasporti sono fermi, la disoccupazione tocca il 62%, la Messa si celebra soltanto in streaming. Il richiamo al nostro mondo e ai suoi escrementi, reali e figurati, mi sembra chiaro, come la metafora della solitudine sociale e interpersonale, ormai allarmante”.

di Kornél Mundruczó testo e drammaturgia Kata Wéber con Izabella Dudziak, Dobromir Dymecki, Monika Frajczyk, Magdalena Kuta, Sebastian Pawlak, Justyna Wasilewska, Julia Wyszyska assistente alla drammaturgia Soma Boronkay traduzione Jolanta Jarmolowicz set e costumi Monika Pormale musica Asher Goldschmidt lighting design Paulina Góral

produzione TR Warszawa con l’aiuto di Institut Balassi (Varsavia)

Al Teatro Bellini, in scena due spettacoli dell’indiscusso Maestro ungherese Kornél Mundruczó: Pieces of a Woman e Imitation of life. Il primo lavoro, scritto daKata Weber, importante drammaturga e sceneggiatrice ungherese nonché moglie del regista, ha debuttato nel 2018 a Varsavia e racconta la storia di Maja, una donna di 30 anni che ha recentemente vissuto una tragedia personale e che si trova a dover fare i conti con le aspettative e le pressioni della sua famiglia su come deve affrontare quest’evento. La scrittura della Weber e la regia di Mundruczó ci introducono lentamente nella storia di Maja e in quella della sua famiglia, ci fanno vivere con partecipazione il suo lento processo di emancipazione dalle norme imposte, la sua elaborazione dell’esperienza traumatica, accompagnandoci verso una liberazione graduale dai ruoli femminili obbligatori e predefiniti. Il linguaggio scenico è decisamente cinematografico, è caratterizzato dalla cura dei dettagli dal taglio fortemente realistico accentuato dalla straordinaria bravura degli attori. L’allestimento, realizzato per il TR Warszawa, una delle compagnie stabili più importanti d’Europa ha ricevuto con prestigiosi riconoscimenti (come lo Swinarski Award, il più importante premio dedicato ai registi teatrali in Polonia) per poi essere presentato nel 2020 in una versione filmica alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia: anche il lungometraggio è stato insignito di vari riconoscimenti, tra cui la candidatura all’Oscar per la protagonista, Vanessa Kirby.

Spettacolo in lingua polacca con sovratitoli in italiano

di Kornél Mundruczó con Lili Monori, Roland Rába, Annamária Láng, Zsombor Jéger, Dáriusz Kozma

scena Márton Ágh, costumi Márton Ágh, Melinda Domán, luci András Élteto, scritto da Kata Wéber

drammaturgia Soma Boronkay, musica Asher Goldschmidt, assistente alla regia Anna Fehér, producer Dóra Büki

produzione Wiener Festwochen, Vienna, Austria; Theater Oberhausen, Germania; La Rose Des Vents, Lille, Francia; Maillon, Théâtre De Strasbourg / Scène Européenne, Francia; Trafó House Of Contemporary Arts, Budapest, Ungheria; Hau Hebbel Am Ufer, Berlin, Germania; Hellerau – European Center For The Arts, Dresden, Germania; Wiesbaden Biennale, Germania

Il secondo appuntamento con Kornél Mundruczó è il pluripremiato Imitation of life, ancora una volta un testo di Kata Weber, che il Maestro ha allestito nel 2017 con la sua compagnia, il Proton Theatre e che gli è valso la nomination per il Faust Award, diventando il primo, e per il momento unico, spettacolo non tedesco a ricevere una candidatura per tale riconoscimento. A partire da un fatto di cronaca realmente avvenuto a Budapest nel 2015, Mundruczó  racconta la storia di un ragazzo che cresce in una famiglia Rom, ma non assomiglia a loro: il colore della sua pelle è diverso e il suo rifiuto delle origini pesa sulla sua infanzia, così cerca di trovare una nuova vita nell’anonimato della città. Ma non troverà il suo posto. L’odio verso se stesso impedisce la sua integrazione sociale fino a fargli commettere un omicidio. La dinamica del racconto è originalissima, il regista riesce a far convivere un deciso iperrealismo con un utilizzo essenziale delle videoproiezioni e colloca l’intera azione in una macchina scenica straordinaria.

«Scegliamo il nostro destino o le nostre vite sono predestinate?», questa è la domanda sollevata dallo spettacolo, che la pone restituendoci un quadro della società contemporanea in cui le logiche razziste sono sempre più consolidate, dove prevale l’ingiustizia sociale, dove regna la discriminazione di cui si mostrano i possibili esiti. Per usare le parole del prestigioso quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung «L’arte teatrale di Mundruczó riflette le relazioni sociali su piccola scala, utilizzando contorni netti. Ciò rende Imitation of Life un evento poetico e politico al tempo stesso».

Spettacolo in lingua ungherese con sovratitoli in italiano e inglese

di Eugène Ionesco traduzione Gian Renzo Morteo con Michele Di Mauro, Federica Fracassi regia Valerio Binasco scene e luci Nicolas Bovey costumi Alessio Rosati musiche Paolo Spaccamonti assistente regia Giordana Faggiano assistente scene Nathalie Deana produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

Riscopriamo Le sedie di Ionesco nel poetico e originalissimo allestimento diretto da Valerio Binasco: su una scena dal sapore post apocalittico, il Vecchio e la Vecchia, seduti su due sedie affiancate, guardano l’orizzonte e parlano del loro passato, prima di organizzare la conferenza durante la quale un “oratore professionista” rivelerà “il messaggio”, ossia il piano ideato dal Vecchio per modificare in meglio la realtà. Gli straordinari Michele Di Mauro e Federica Fracassi, truccati come due clown ci offrono l’immagine di una coppia unita da un legame indissolubile, in linea con l’intento di Binasco, cioè indagare l’aspetto più intimo e umano del teatro di Ionesco, piuttosto che quello politico. «Voglio che i suoi personaggi sembrino persone strette nella morsa di relazioni assurde, piuttosto che assurde marionette strette nella morsa della plausibilità – spiega il regista – che ci sia prima di tutto una storia umana, piena di stranezze affascinanti, di suspense e di comicità. Voglio crederci, a tutto quell’assurdo, che è universale, mio e tuo, caro pubblico. Ed ecco, allora, che sto rivelando il mio segreto intento di regista: fare di questo testo una storia di tenerezza umana. C’è qualcosa di più assurdo che si possa chiedere a un testo di Ionesco? No. Mi avventuro in questa ricerca sapendo che c’è molta verità e molta allegria genuina, che traspaiono continuamente in Le sedie e, a dispetto della sfacciata stravaganza dell’autore, perfino una poesia “arresa” nei confronti dell’umanità: se riusciremo a renderla visibile, avremo la possibilità di fare una grande esperienza di teatro di attori, che è il più bello che ci sia. Non è una speranza da poco. Dedico questo nostro viaggio nel mondo al rovescio delle Sedie alla vera assurdità della nostra epoca: alla speranza».

di Andrew Bovell regia Lisa Ferlazzo Natoli un progetto di lacasadiargilla traduzione Margherita Mauro con Caterina Carpio, Marco Cavalcoli, Lorenzo Frediani, Tania Garribba, Fortunato Leccese, Anna Mallamaci, Emiliano Masala, Camilla Semino Favro, Francesco Villano scene Carlo Sala costumi Gianluca Falaschi disegno luci Luigi Biondi disegno del suono Alessandro Ferroni disegno video Maddalena Parise produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Fondazione Teatro Due

con il sostegno di Ambasciata d’Australia e Qantas

Torna al Teatro Bellini When the Rain Stops Falling, il pluripremiato lavoro di Lisa Ferlazzo Natoli e lacasadiargilla che raccontala storia delle famiglie Law e York, di quattro generazioni di padri e figli, madri e mogli. Un racconto epico e al tempo stesso distopico che ci parla di matrimoni spezzati e morti accidentali, di verità taciute e di destini che si incrociano facendoci viaggiare dal 2039 al 1959. L’australiano Andrew Bovell costruisce una storia intima dall’affascinante e complessa struttura drammaturgica: i diversi fili narrativi, il graduale sovrapporsi delle temporalità e i destini delle quattro generazioni che si incrociano, ci raccontano una corrispondenza così profonda tra le esperienze di ognuno dei personaggi da suggerire che negli alberi genealogici non vi siano ‘scritti’ solo i nomi dei protagonisti, ma anche i loro comportamenti, le inclinazioni, i desideri e gli errori. Lisa Ferlazzo Natoli dirige nove straordinari interpreti in un vero e proprio viaggio nel tempo dall’architettura narrativa nitida: è senza flashback che i personaggi, da vecchi e da giovani, entrano ed escono da un quadro all’altro, da un paesaggio all’altro, con un ritmo così incalzante che anche lo spettatore si ritrova a viaggiare nel tempo guidato dal ripetersi di alcune azioni, dal riproporsi di alcune battute o elementi narrativi. È sul tempo stesso che ci si interroga, ‘piegandolo’ in avanti, perlasciare entrare il futuro e i suoi fantasmi, o, con improvvise ‘interferenze’, aprire il presente a squarci di passato.

di Francesco Ferrara con Luigi Alessio Adimari, Chiara Celotto, Rosita Chiodero, Salvatore Cutrì, Claudia D’Avanzo, Maria Francesca Duilio, Michele Ferrantino, Francesco Ferrara, Luigi Leone, Andreina Liotti, Eleonora Longobardi, Simone Mazzella, Salvatore Nicolella, Manuel Severino, Arianna Sorrentino

aiuto regia Salvatore Scotto D’Apollonia regia Gabriele Russo

produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

La Classe. Ritratto di uno di noi, è un progetto nato nell’ambito del triennio 2017-2019 della Bellini Teatro Factory, l’Accademia del Teatro Bellini che forma attori, registi e drammaturghi, che porta in scena un fulminante cortocircuito tra realtà e finzione. Osserviamo, infatti, i 14 giovani artisti, che allora componevano la classe della BTF, che interpretano loro stessi mentre discutono della messinscena di uno spettacolo in cui dovranno raccontare ciò che accadde a Oslo il 22 luglio 2011, quando Anders Behring Breivik, prima piazzò un’autobomba del centro della città che uccise 8 persone e poi, non ancora soddisfatto, sparò a 69 giovani . Una violenza folle, che i ragazzi, per poter rappresentare nella maniera più vera possibile, devono innanzitutto provare a capire; li cogliamo in questo momento, mentre cercano di immedesimarsi, mentre si pongono delle domande e mentre immaginano cosa provavano i protagonisti… Ma come si può comprendere qualcosa di così profondamente insensato? Tra dubbi, domande e piani che si incrociano, prende vita un lavoro dallo sviluppo complesso e multi sfaccettato, dall’energia dirompente.

Dopo il debutto nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia 2018, lo spettacolo è diventato semplicemente Ritratto di uno di noi, ed è andato in scena al Piccolo Bellini registrando il tutto esaurito; successivamente è stato selezionato per il festival Internazionale Tramedautore una delle più importanti iniziative volte a sostenere la scrittura teatrale contemporanea che si svolge ogni anno al Piccolo Teatro di Milano, e oggi finalmente torna sul palco che lo ha visto nascere.

tratto da Kobane calling di ZEROCALCARE edito da Bao Publishing un progetto di Lucca Crea a cura di Cristina Poccardi e Nicola Zavagli adattamento e regia Nicola Zavagli con Massimiliano Aceti, Luigi Biava, Fabio Cavalieri, Francesco Giordano, Carlotta Mangione, Alessandro Marmorini, Davide Paciolla, Lorenzo Parrotto, Cristina Poccardi, Marcello Sbigoli e con giovani attori della compagnia Teatri d’Imbarco musiche originali Mirko Fabbreschi coproduzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatri D’imbarco, Lucca Comics&Games in collaborazione con Bao Publishing

Torna al Teatro Bellini lo spettacolo evento con cui il regista Nicola Zavagli — che da anni persegue, insieme all’attrice Beatrice Visibelli e alla compagnia Teatri d’Imbarco, un teatro popolare d’arte civile — ha portato in scena Kobane Calling, il reportage in forma grafica firmato da Zerocalcare con il quale l’artista ha raccontato il viaggio che ha lo ha spinto al confine tra la Turchia e la Siria, a pochi chilometri dalla città assediata di Kobanêe, tra i difensori curdi del Rojava, opposti alle forze dello Stato Islamico. La graphic novel che ha venduto cento ventimila copie in Italia ed è stata tradotta in francese, inglese, spagnolo, tedesco, portoghese e norvegese oggi è diventata un atipico documentario teatrale: uno spettacolo che non spettacolarizza la guerra, ma la racconta grazie a una originalissima commistione di linguaggi. È un vero e proprio atto d’amore del teatro nei confronti del mondo poetico e comicissimo dell’autore: non è solo la trasposizione di una graphic novel, ma un’opera inedita che, partendo dalle pagine del fumetto, le trasforma sul palcoscenico in un autentico cortocircuito di emozioni, perché racconta con spietata leggerezza la verità brutale di un conflitto troppo spesso dimenticato. Un lavoro che si mantiene pericolosamente in bilico tra cronaca del nostro tempo e l’immaginario fumettistico.

di Anton Pavolovič Čechov uno spettacolo di Alessandro Serra

con Arianna Aloi (Duniaša), Andrea Bartolomeo (Jaša),

Marta Cortellazzo Wiel (Anja), Massimiliano Donato (Epichodov), Chiara Michelini (Carlotta), Felice Montervino (Trofimov), Paolo Musio (Gaiev), Massimiliano Poli (Simeonov-Piščik), Miriam Russo (Varja), Marco Sgrosso (Lopachin), Valentina Sperlì (Ljubov’), Bruno Stori (Firs).

regia, drammaturgia, scene, luci, costumi Alessandro Serra

produzione Compagnia Orsini, Accademia Perduta Romagna Teatri, Teatro Stabile del Veneto, TPE Teatro Piemonte Europa in collaborazione con Compagnia Teatropersona, Triennale Teatro dell’Arte di Milano

Dopo il suo ancestrale e pluripremiato Macbettu, Alessandro Serra affronta quella che lui stesso definisce “la più grande partitura sinfonica per anime mai scritta”, Il Giardino dei Ciliegi l’ultima opera di Čhecov. La prima rappresentazione del testo, nel 1904, fu diretta da Stanislavskij e Nemirovič-Dančenko e un aneddoto racconta che Čechov trasecolò nel vedere allestita come una tragedia, ossia privata dei numerosi segni della farsa di cui l’aveva disseminata, quella che lui aveva concepito come una commedia. Quest’episodio costituisce la riprova della grande ambiguità dell’opera, che Alessandro Serra asseconda con una regia magnetica, dall’architettura scenica e sonora raffinatissima. Nelle sue mani, le difficoltà dell’aristocratica russa Liuba e della sua famiglia alle prese con il tentativo di salvare la proprietà di famiglia dall’asta, metafora dell’irreversibile tramonto di un’epoca, diventano un affresco esistenziale dalla cifra lieve e a tratti surreale. I dodici straordinari attori si muovono su una scena minimalista e restituiscono il sentimento che pervade l’opera, che il regista definisce come «qualcosa di indissolubilmente legato all’infanzia, […] Un valzerino allegro in una commedia intessuta di morte. Comicità garbata, mai esibita, perfetto contrappunto in un’opera spietata e poetica. I personaggi ridono e si commuovono spesso, il che non significa che si debba piangere davvero, è piuttosto uno stato d’animo, scrive Čechov in una lettera, che deve trasformarsi subito dopo in allegria».

durata un’ora e 55 minuti

uno spettacolo scritto e interpretato dagli allievi della Bellini Teatro Factory diretti da Francesco Saponaro due atti unici liberamente ispirati ai racconti La fidanzata e Il sottufficiale Prišibeev di Anton Čechov di Elvira Buonocore, Maria Chiara Montella, Marta Polidoro e Francesco Saponaro regia Francesco Saponaro produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

Nell’ambito della scuola di formazione per attori e drammaturghi Bellini Teatro Factory, si è scelto, per il 2021, di affrontare Čechov e la sua produzione artistica, sia nella forma teatrale che narrativa.

Ne sono emersi i nodi tematici fondamentali quali il significato del teatro, il destino e il conflitto tra le generazioni, in un momento storico che li fa istantaneamente risuonare con le condizioni di questo ‘pandemico’ presente.

D’altra parte, Čechov è un classico e i classici appartengono sempre a un tempo che deve ancora venire. Ritrovando inalterato, nella Russia čechoviana come oggi, quel senso di vivere senza orizzonti e di appartenere a un mondo decrepito, si è giocato – così come faceva Čechov – a mettere i “pensieri della vita” in bocca a gente di poco conto e di cervello corto, spesso puerili, in grado tutt’al più di piccole rivelazioni.

Per la regia di Francesco Saponaro, questa ricerca arriva ora in scena, attraverso un lavoro di riscrittura a cura delle allieve drammaturghe coordinate dallo stesso regista e apre la stagione del Piccolo Bellini, coinvolgendo tutto il gruppo degli attori in formazione.

di Liv Ferracchiati con scene dal Platonov di Anton Čechov con (in ordine alfabetico) Francesca Fatichenti, Liv Ferracchiati, Riccardo Goretti, Alice Spisa, Petra Valentini, Matilde Vigna aiuto regia Anna Zanetti drammaturgia di scena Greta Cappelletti costumi Francesca Pieroni luci Emiliano Austeri suono Giacomo Agnifili produzione Teatro Stabile dell’Umbria

Dopo il debutto alla Biennale Teatro 2020, dove ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria Internazionale, Liv Ferracchiati presenta al Piccolo Bellini la sua originale riscrittura di Platonov, il testo giovanile di Čechov che racconta la storia del giovane maestro di provincia in cui convivono i tormenti esistenziali di Amleto e l’impunità sentimentale di Don Giovanni. Ferracchiati, che dichiara sin dal titolo le sue intenzioni di stravolgimento del punto di vista, destruttura il testo Čechoviano ricollocandolo in un’architettura narrativa contemporanea in cui si muovono solo il protagonista e le quattro donne innamorate di lui (gli straordinari Riccardo Goretti, Francesca Fatichenti, Alice Spisa, Petra Valentini e Matilde Vigna) affiancati dall’inedito personaggio del “lettore” – interpretato da lui stesso – che fa da contrappunto al personaggio di Platonov, creando un dualismo ironico che sottolinea il carattere caotico e umanissimo dell’infelicità del giovane. «Platonov, inteso come testo drammaturgico, sempre e solo letto, mai pensato da rappresentarsi, per me è stato un incontro. — racconta Ferracchiati — Trovavo rifugio nell’inazione di Platonov, nella sua paralisi tra attrazione e repulsione, tra paura e eccitazione, nel suo non agire e nel suo sottrarsi. Nel non scegliere tra le quattro donne che gli si offrono, come se ognuna potesse dare una soluzione alla sua esistenza. Non sceglie perché, alla fine, non si può. Come si può scegliere solo una possibilità?[…] Tutto è confuso, imbrogliato, forse conviene osservare con indulgenza Platonov, perché nei suoi slanci, nelle sue miserie, nelle sue paure e nei suoi inconsolabili dolori, ritroviamo i nostri».

di Heiner Müller traduzione Saverio Vertone con Rino Di Martino regia Sergio Sivori scene Lucia imperato costumi Chiara Aversano disegno Luci Salvatore Palladino contributi video Marco Schiavoni produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

Scritto nel 1977 dal commediografo e regista teatrale tedesco Heiner Müller, Hamletmachine, liberamente ispirato all’Amleto di William Shakespeare, è diventato un classico contemporaneo. Lo riscopriamo nell’adattamento di Sergio Sivori, che trasforma l’opera in uno sconcertante e sadico gioco teatrale, capace di indagare fino in fondo, con crudo cinismo filosofico, l’anatomia delle passioni umane. La ricerca teatrale di Sergio Sivori mantiene intatta tutta la forza verbale di cui è carica la drammaturgia Mulleriana, ma la arricchisce con una rilevante componente fisica: passando attraverso il corpo dell’attore/attuante, uno straordinario Rino Di Martino, Sivori solleva nuove associazioni e molteplici significati. Il gioco teatrale si rende speculazione filosofica, ed indaga il mistero indecifrabile dell’animo umano e delle sue passioni pedine instabili nella partita a scacchi tra le pulsioni di vita e quelle di morte. Lo spettacolo è un atto unico diviso in cinque quadri, accomunati da un sottile e continuo gioco di inversione di ruoli, in cui il corpo e l’anima acquistano la medesima componente materica, esposta alla corruzione del tempo e del peccato. Se, dunque, l’anima è destinata a deteriorarsi esattamente come accade alla carne, senza possibilità di redenzione, sta allo spettatore abbandonarsi e immergersi nel ritmo delle azioni fisiche per trarre la propria personale riflessione.

Permission granted by Thaleia Productions, 6 rue sedillot 75007 Paris France

traduzione Federica Di Lella e Lorenza Di Lella – Adelphi

scene e regia Emanuele Conte

con Luca Mammoli, Enrico Pittaluga, Graziano Sirressi di Generazione Disagio

produzione Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse

Tre amici – Marc, Serge e Yvan – si confrontano sulla qualità artistica di un quadro completamente bianco, discutendo sul prezzo altissimo per il quale è stato acquistato da uno dei tre; la discussione, però, diventa presto un dibattito dai toni accesi sull’arte contemporanea, per poi trasformarsi, in un attimo, in un violento litigio che non riguarda più l’arte, ma il loro stesso rapporto di amicizia.

In un crescendo di dialoghi serratissimi, i tre protagonisti, sempre a distanza tra loro, giocano una partita a scacchi dentro quadrati di luce, in cui la realtà della loro relazione è resa evidente da una messinscena essenziale, a totale servizio del testo. Un confronto nudo, frontale, quasi cinematografico, in cui entrano in gioco tutte le variabili dei rapporti umani: quale rapporto, anche il più intimo e più felice, non è basato su qualche mezza verità, su qualche completa bugia o grande malinteso? Si conoscono da una vita Marc, Serge e Yvan, si sono sempre voluti bene, si sono sempre piaciuti e stimati, ma di fronte a quella tela bianca, non si riconoscono più…

Scritto da Yasmina Reza, una delle più importanti drammaturghe in lingua francese, autrice tra l’altro del testo da cui Polanski ha tratto il film Carnage, Art – testo vincitore del Premio Moliere e poi tradotto in trenta lingue – è una commedia crudele e divertente sull’amicizia, che attraverso dialoghi serrati e a tratti straordinariamente comici ci dà la misura di quanto capirsi sia davvero difficile.

drammaturgia e regia Pier Lorenzo Pisano con Alfredo Angelici, Federica Carruba Toscano, Matilde Vigna

scene Lucia Imperato costumi Chiara Aversano disegno Luci Salvatore Palladino disegno Sonoro Alessio Foglia produzione Fondazione Teatro Di Napoli – Teatro Bellini

Senet, il cui titolo fa riferimento al nome di un antichissimo gioco da tavolo egiziano, indicato come un antenato del backgammon, è uno dei due lavori nati nell’ambito della cattività artistica del progetto Zona Rossa, che ha abitato il Bellini da dicembre 2020 a marzo 2021. È, dunque, una scrittura nata sulla scena nel senso vero del termine, creata dormendo a dieci metri dal palco in una situazione in cui “la carne e il legno non sono mai state più vicini di così.” come ricorda Pier Lorenzo Pisano, che aggiunge «Senet si basa su una percezione del fuori distorta. Sull’idea che una parola, detta su un palco col buio attorno, possa creare un mondo. “Cosa c’è fuori?” È una domanda che ci poniamo tantissime volte nel corso di una giornata. Il fuori è un qualcosa di multiforme, in constante definizione, nel bene e nel male. È una sorpresa, è una festa. Certe volte però, magari da piccoli, abbiamo l’impressione che quello che c’è fuori, che tutto il resto del mondo, dipenda da noi. Magari d’estate in un parco, magari al mare, ci sentiamo tristi, e subito le nuvole davanti a noi si inspessiscono e si rabbuiano. Magari abbiamo voglia di correre e urlare, e il vento comincia a soffiare e a spingerci. È il mondo che si adegua a noi, e non il contrario. E magari una sera, in una casa, due donne cominciano ad interrogarsi su quello che c’è fuori. E le loro parole, di paura, di gioia, di dolore, cominciano a creare il mondo, come quando eravamo bambini». Uno spettacolo onirico e intenso, che dopo il debutto nell’ambito del Campania Teatro Festival 2021, va finalmente in scena nel luogo in cui è stato concepito.

uno spettacolo di Fulvio Sacco, Napoleone Zavatto coaching Armando Pirozzi con Errico Liguori, Fulvio Sacco elementi scenici e costumi Anna Verde una produzione improbabile di assemedianosocialclub

produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini con il contributo di Mestieri del Palco e il sostegno di Teatro Nostos; Putéca Celidònia; cantiere sartoria del Teatro Sannazaro; pigrecoemme – Scuola di Cinema e Fotografia

Barcellona 1984, è l’ultimo giorno di calcio mercato e due improbabili dirigenti del Calcio Napoli sono alle prese con la più grande impresa manageriale e sportiva del XX secolo: l’acquisto di Diego Armando Maradona. Chiusi in una stanza d’albergo da 59 giorni, alle prese con la snervante trattativa, aspettano la telefonata del Presidente Ferlaino da Napoli che deve confermare che i soldi per comprarlo ci sono…

«Siamo nati dopo l’arrivo di Maradona, troppo piccoli per vedere Carmelo Bene, troppo non-nati per piangere Enrico Berlinguer, troppo piccoli per ricordarci la festa dello Scudetto, troppo assenti dalla vita per vedere in scena Eduardo o bere un drink con Lucio Amelio. Nella nostalgia di un passato che non abbiamo mai vissuto, nel lutto per il corpo dei miti, nell’ironia della sorte, noi ci troviamo a nostro agio. Da tempo stavamo ragionando su una tematica precisa da portare il teatro: come si realizzano i sogni? E siamo partiti da qui: dal raccontare il più grande sogno di tutti i tempi: vincere sull’impossibile!» Così Fulvio Sacco e Napoleone Zavatto raccontano perché hanno scelto di riscrivere a modo loro la storia dell’arrivo di Maradona a Napoli come pretesto per costruire un’epica commedia contemporanea, che tra battute fulminanti e arredi vintage, ci racconta di due scalcagnati dirigenti di una città in costante attesa di riscatto che portano a segno la realizzazione di un sogno collettivo.

con Silvia Calderoni regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò drammaturgia Daniela Nicolò e Silvia Calderoni suoni Enrico Casagrande in collaborazione con Paolo Panella e Damiano Bagliluce e video Alessio Spirli e Simone Palma produzione Motus 2015 Emilia Romagna

Il secondo appuntamento con il focus sul lavoro di Motus: dopo aver presentato il nuovissimo Tutto Brucia al Teatro Bellini, va in scena al Piccolo Bellini il loro ormai iconico MDLSX, il lavoro che ha debuttato nel 2015 e da allora ha fatto il giro del mondo. MDSLX è uno “scandaloso viaggio teatrale” durante il quale Silvia Calderoni ‫‫– attrice simbolo di Motus ‫‫– intona in forma di Dj/Vj set un inno lisergico e solitario alla libertà di divenire, al gender b(l)ending, all’essere altro dai confini del corpo, dal colore della pelle, dalla nazionalità imposta, dalla territorialità forzata, dall’appartenenza a una Patria. Brandelli autobiografici ed evocazioni letterarie confondono fiction e realtà, rendendo questo lavoro un’esperienza completa e imperdibile.

Se tra le ispirazioni letterarie di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò ci sono  i testi di teoria queer e di genere di Judith Butler, A cyborg manifesto di Donna Haraway, e Manifesto contra sexual di Preciado, più in generale il riferimento è a tutta la letteratura che si muove sul crinale dell’identità più sfuggente; suggestioni e visioni che si compiono in scena mediante un linguaggio teatrale misto, caratteristica di tutti i lavori della compagnia. Così la parola il movimento, la musica, i filmati e il corpo stesso del performer (una Sivia Calderoni come sempre generosissima) diventano drammaturgia e accompagnano lo spettatore attraverso la rappresentazione della fatica che comporta la ricerca della felicità.

Il crollo dell’impero romano d’occidente

drammaturgia e regia Licia Lanera e Pier Lorenzo Pisano con Alfredo Angelici, Federica Carruba Toscano, Matilde Vigna scene Lucia Imperato disegno luci Salvatore Palladino

costumi Chiara Aversano assistente alla regia Salvatore Scotto D’Apollonia produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

Zona Rossa è il progetto che ha abitato il Teatro Bellini da dicembre 2020 a marzo 2021. Ideato da Daniele Russo e Davide Sacco, è stato una risposta creativa all’interruzione dell’attività dei teatri e al dibattito che ne è scaturito sul ruolo della cultura in generale e del teatro in particolare. Durante Zona Rossa, due drammaturghi-registi e tre attori si sono trasferiti all’interno del Teatro Bellini e, senza mai uscire, hanno lavorato a due nuove creazioni. I due drammaturghi erano i pluripremiati Licia Lanera e Pier Lorenzo Pisano e i tre interpreti Alfredo Angelici, Federica Carruba Toscano e Matilde Vigna: tutti artisti di grande spessore che hanno vissuto insieme e hanno lavorato insieme. Anche il pubblico ha partecipato al processo creativo, perchè le prove sono state trasmesse in diretta streaming. Sono stati “reclusi” 76 giorni e il risultato di questa reclusione creativa è Settantasei, una spettacolo che trasferisce sulla scena, in forma quasi diaristica e con un tono ironico e leggero, i sentimenti e le emozioni che hanno animato i cinque artisti durante il loro lockdown, e, dunque, l’esperienza di ognuno di noi: «La rabbia, la solitudine, il disfacimento del corpo, gli abbracci, le paure, gli sguardi complici – spiegano Lanera e Pisano – Insomma la vita di cinque essere umani chiusi dentro una casa. Dunque Settantasei è anche una riflessione sulla nostra contemporaneità, sul concetto di chiusura, sul senso del teatro e della vita dei teatranti. Settantasei è qualcosa che poteva nascere soltanto in questo contesto, e soltanto in questo momento storico: lo spettacolo ha preso questa forma, chiudendoci ogni altra strada. Settantasei è un numero, una data e una testimonianza».

di Paola Fresa testo Menzione Speciale Premio Platea 2016

con Nunzia Antonino, Michele Cipriani, Franco Ferrante, Paola Fresa

collaborazione alla creazione collettiva Christian Di Domenico

scene e costumi Federica Parolini

costruzione scene Luigi Di Giorno, Davide Maltinti

video e foto di scena Andrea Bastogi

con il sostegno di U.P.I.P.A. (Unione Provinciale Istituzioni Per l’Assistenza –Trento)

TRAC Centro di Residenza Pugliese – Teatro Comunale di Novoli

si ringrazia Teatro Stabile di Bolzano

In un interno domestico, Padre, Madre e Figlia si trovano a dover affrontare un problema: la malattia incurabile che colpisce il Padre. Il testo è costruito come una sequenza ininterrotta di accadimenti, dove la narrazione è affidata all’esclusiva rappresentazione dei fatti. Nel precipizio della memoria che è la sindrome di Alzheimer, la scrittura non risparmia ai suoi personaggi continui inciampi tragicomici. La casa diventa, scena dopo scena, immagine claustrofobica della malattia, e i contatti con il mondo al di fuori, rappresentati dai tre personaggi esterni al nucleo familiare, non fanno altro che stringere il cerchio intorno ai tre protagonisti. Così, in una corsa contro il tempo, tra rifiuto del “problema” e silenziosa resistenza al dolore, tra vagabondaggi notturni e mancati riconoscimenti, nel sovrapporsi di passato e presente, dove il confine fra realtà e immaginazione diventa labile, Madre e Figlia si ritroveranno unite nell’impresa di trattenere il ricordo di sé nella mente del Padre.

«La nostra è una creazione collettiva, uno spettacolo che ha nel ruolo dell’attore e nelle relazioni che ogni interprete sa tessere con i suoi compagni di palco il suo perno», racconta Paola Fresa, che per Il Problema ha ottenuto la menzione speciale del Premio Platea 2016. Così, l’agire dei quattro attori in scena scandisce le fasi di una delle malattie più drammatiche e stranianti che affliggono il nostro presente con il ritmo e la delicatezza con cui si rappresenta una storia d’amore: più che il racconto di una malattia e la cronaca di una morte, il Problema si presenta come un vero e proprio inno alla vita.

uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli | Cranpi

collaborazione alla drammaturgia Marta Meneghetti, Giada Parlanti, Emanuele Silvestri

collaborazione artistica Lorenzo Letizia, Tiziana Tomasulo, Lafabbrica

performer Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni, Marta Meneghetti

scene e marionette Fiammetta Mandich

fonico Jacopo Ruben Dell’Abate

assistenti alla regia Francesco Meloni, Silvia Corona, Arianna Cremona

un ringraziamento a Giorgio Testa

produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello Centro di ProduzioneTeatrale, Carrozzerie | n.o.t | con il supporto di Residenza IDRA e Teatro Cantiere Florida/Elsinor nell’ambito del progetto CURA 2018 |

e di Nuovo Cinema Palazzo | e con il sostegno di Periferie Artistiche Centro di Residenza Multidisciplinare della Regione Lazio

Un ringraziamento speciale ai compagni di classe

La classe di Fabiana Iacozzilli è uno spettacolo rivelazione, premiato nel 2019 con l’In-box, l’ANCT e l’UBU per il miglior progetto sonoro. Questo docupuppets scaturisce dai ricordi dell’autrice, in particolare dalle memorie dell’educazione rigida ricevuta da parte della sua maestra elementare, Suor Lidia.«A distanza di trent’anni ho deciso che avrei realizzato uno spettacolo a partire da quei ricordi e mi sono messa alla ricerca dei miei ex compagni,– racconta la Iacozzilli – ritenendo indispensabile ricreare quella “comunità” con la quale ho condiviso l’esperienza in questione. Per iniziare a ricomporre i tasselli della “storia” li ho intervistati, ponendo loro domande molto semplici: “Com’era Suor Lidia?”; “Cosa ti ricordi di lei?”; “Ti ricordi cosa accadeva in classe?”; “Sei stato felice quando è morta?”. Parallelamente al lavoro sulle interviste Fiammetta Mandich ha realizzato dei fantocci/burattini a immagine dei miei compagni, per far interpretare loro gli episodi da noi vissuti tra i sei e i dieci anni di vita.» Così, in scena, vediamo dei bambini interpretati da pupazzi che si muovono su dei tavolacci di legno, mentre Suor Lidia è l’unica presenza in carne ed ossa. E quando a un certo punto affida a Fabiana la regia di una piccola scena per una recita scolastica decide, forse, insieme a lei, la vocazione della sua alunna. Una “ricerca di pezzi di memorie andate”, prosegue Fabiana Iacozzilli, aggiungendo “i miei compagni mi hanno aiutato a trovare una rotta e, infine, a comprendere la natura del lavoro. La Classe  ha trovato il suo vero significato nel momento in cui ho rinunciato a quello che volevo raccontare in origine e mi sono messa in ascolto della materia che stavo indagando”.

uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli con Marta Meneghetti, Roberto Montosi

scene Fiammetta Mandich luci Luigi Biondi, Francesca Zerilli

realizzazione body suit Makinarium (special – visual – effects)

collaborazione ai costumi Davide Zanotti, Anna Coluccia

assistente alla regia Cesare Santiago Del Beato

assistente alla drammaturgia Carola Fasana

fonico Jacopo Ruben Dell’Abate     

foto di scena Manuela Giusto

collaborazione artistica Lorenzo Letizia, Luca Lotano, Ramona Nardò

un ringraziamento a Giorgio Testa

Fabiana Iacozzilli, dopo la Classe, continua a trasformare la riflessione autobiografica in materia scenica dal valore universale; qui si interroga sulle paure relazionate alla maternità: la paura di diventare madre, quella di non diventarlo e ancora, sulla paura di dire di non voler essere madre. Sul palco, c’è una donna con una pancia enorme che si è cucita la vagina con una corda a cui ha fatto un grande nodo scorsoio per impedire al pargolo di venire al mondo. È incinta da un tempo indefinito e da un tempo infinito trattiene e ritarda l’evento. «Siamo in uno spazio dell’anima, in uno spazio in cui l’anima gesticola e ci fa interrogare sulla nostra condizione di donne e uomini perennemente in bilico tra il voler essere genitori e il rimanere figli, ma anche su un’altra questione: nel momento in cui dai la vita a qualcuno lo stai più semplicemente condannando alla morte? – dice l’artista – Nel corso di questo processo artistico, come già avvenuto per il mio precedente lavoro La classe, ho capito la natura del progetto nel momento in cui mi sono davvero messa in ascolto della materia che stavo indagando. Questo momento è avvenuto quando mio padre si è ammalato e, a mio avviso, per l’essere umano che sono, ho fatto qualunque tipo di cosa enorme per lui. […] Lo spettacolo è dunque diventato un oggetto emotivo che s’interroga sulla paura e sul desiderio dell’abbandonare se stessi alla cura di un altro essere umano, che s’interroga su una questione che appartiene a ogni donna, alla sua condizione esistenziale – che sia madre o che non lo sia – e che ha a che fare con una domanda semplice ma per niente consolatoria: “forse, alla fine, si è madri comunque?”».

di Magdalena Barile regia Marco Lorenzi

uno spettacolo de Il Mulino di Amleto

con Christian Di Filippo, Francesco Gargiulo,

Barbara Mazzi, Alba Maria Porto, Angelo Maria Tronca

collaborazione ai costumi Paola D’Arienzo

produzione Acti Teatri Indipendenti / Il Mulino di Amleto

Senza Famiglia è una creazione folle e imprevedibile che racconta la storia tragicomica di una famiglia qualsiasi, in cui la nonna nostalgica delle sue battaglie degli anni ’70, risorge per convincere la figlia, una casalinga succube del marito e a sua volta madre di due figli irrisolti, a cambiare vita. Asserragliate in una vecchia casa al mare, la donna costringerà la figlia a seguire un corso accelerato di emancipazione, anarchia e trasgressione. Gli insegnamenti, mal compresi e non digeriti, finiranno per avere effetti nefasti sull’equilibrio del gruppo familiare. A partire da un racconto spietato, esasperato e memorabile delle relazioni genitori-figli, emerge il grottesco fallimento di un’educazione politica e sentimentale tra generazioni. «Senza Famiglia racconta di come i sogni dei padri e delle madri cadano come macigni sulle teste dei figli, mentre la comunicazione fra le generazioni sia costellata da equivoci e disastri. Fra voglia di approvazione e voglia di ribellione, i passaggi di consegne fra genitori e figli si trasformano in un tritacarne› racconta l’autrice, Magdalena Barile. Lo spettacolo, finalista al Premio Scenario 2017, è firmato da Il Mulino di Amleto, la compagnia fondata nel 2009 da un gruppo di attori diplomati alla Scuola del Teatro Stabile di Torino, ora diventata una delle compagnie più significative della nuova generazione teatrale.

drammaturgia Francesco Ferrara con Chiara Celotto, Claudia D’Avanzo, Simone Mazzella, Manuel Severino

regia Salvatore Cutrì aiuto regia Salvatore Scotto D’Apollonia

disegno luci Giuseppe Di Lorenzo

uno spettacolo del Collettivo Mind the Step

produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

Mind the step è una collettivo di giovani artisti nato a Napoli nel 2018, per iniziativa di un gruppo di ex allievi del primo triennio della Bellini Teatro Factory. La cifra di Mind the step è l’indagine su quegli aspetti del presente che, pur essendo sotto i nostri occhi, ci restano sconosciuti: dei veri e propri gradini invisibili spesso troppo familiari per essere notati. Il collettivo inciampa insieme al pubblico nella quotidiana contraddizione tra i passi in avanti e i passi indietro che la nostra società continuamente compie. Fog, finalista al Premio Scenario 2019, rielabora liberamente un fatto di cronaca per provare a interrogarsi sulla relazione che le nuove generazioni hanno con internet e i social media e su quanto questi ultimi condizionino i rapporti interpersonali e la percezione della realtà. Lo fa attraverso la storia di tre adolescenti, Tania, Karla e Paco che decidono, come spesso capita, di intraprendere una diretta streaming, che però, si trasforma in qualcosa di inaspettato. Con un linguaggio crudo e distaccato, Fog si muove in quella particolare zona d’ombra in cui il nostro sguardo non riesce più a vedere il limite che separa ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.

di e con Licia Lanera e con Qzerty

sound design Tommaso Qzerty Danisi

Partendo da cinque fiabe classiche – la Sirenetta, Scarpette rosse, Biancaneve, La regina delle nevi e Cenerentola – spogliate della loro parte edulcorata e consolatoria tipica del mondo dei bambini e presentate in tutta la verità della loro versione autentica, Licia Lanera firma una scrittura originale che racconta incubi notturni e storie di insonnia, per parlare di alcune donne, delle loro ossessioni, delle loro manie, delle loro paure.

In scena Licia Lanera è “travestita da icona pop” come dice lei stessa e racconta quel che resta delle fiabe al ritmo della musica originale, realizzata grazie alla collaborazione con il musicista pugliese Tommaso Qzerty Danisi, che ipnotizza lo spettatore accompagnandolo, per tutta la durata della performance, in una dimensione a metà tra l’onirico e il reale.

The Black’s Tales Tour è uno spettacolo in cui le icone delle fiabe piano piano si sgretolano, fino a diventare la realtà stessa, la più feroce, la più fallimentare. E’ una specie di horror che vuole far paura per esorcizzare la paura stessa: quella di chi scrive, quella di chi vive, perché, come spiega l’autrice, «Le fiabe sono l’archetipo, il pre-visto, il pre-detto. Sono la letteratura genuina dei più profondi sentimenti umani. Sono la parola che si tramanda, sono la filosofia che viene scritta. Sono quello che eri da bambino e quello che sarai da adulto. Arriva un tempo in cui le fiabe che conosci da sempre sono una scusa per dire di te. E dici ciò che mai, altrimenti, avresti avuto il coraggio di dire».

Nascita di una democrazia violata dall’odio, dal denaro e dalla vendetta

scritto e diretto da Davide Sacco con Gianluca Gobbi

e con Tommaso Arnaldi, Emanuele Marchetti, Valentina Violo

e con la partecipazione in video di Francesco Montanari

con la voce di Antonio Zavatteri

aiuto regia Raffaele La Pegna

produzione LVF e Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Manini in collaborazione con AstiTeatro

Dopo il quarto potere della stampa e il quinto potere della televisione, qui si indaga sulle distorsioni di un sesto potere, molto più̀ contemporaneo e sottile: quello che scivola tra gli smartphone, e si insinua attraverso le notifiche Facebook e le stories su Instagram.

In un garage chissà dove tre ragazzi lavorano per un partito di destra creando fake news per manipolare la campagna elettorale. È l’ultima sera prima del silenzio elettorale e i sondaggi sono a loro favore, ma non appena  Malosi, un giornalista molto seguito, distrugge in diretta il vicesegretario del partito, i sondaggi crollano drasticamente. I ragazzi capiscono che l’unico modo per riportare la situazione a loro favore non è più creare false notizie sulla sinistra, ma screditare direttamente il giornalista… Evidentemente i tre protagonisti sono mossi da idee e motivazioni molto diverse tra loro, ma li accomuna la conoscenza delle potenzialità della manipolazione e la furia verso il raggiungimento dell’obiettivo. In un crescendo di avvenimenti e rivelazioni lo spettatore vive uno straniamento che lo accompagna fino al finale, spietato e sorprendente, che rivela tutta l’insensatezza delle regole della società che abbiamo costruito.

Dopo il debutto al Campania Teatro Festival 2021, Sesto Potere, scritto e diretto da Davide Sacco con Gianluca Gobbi, va in scena al Piccolo Bellini.                                                                                                                                                    

durata 70 minuti    

drammaturgia e regia Mario De Masi

con Alessandro Gioia, Lia Gusein-Zadé, Fiorenzo Madonna,Luca Sangiovanni

produzione I pesci in collaborazione con A.Artisti Associati Gorizia – ARTEFICI Residenze Creative FVG Scuola Elementare del Teatro – Conservatorio Popolare per le Arti della Scena L’Asilo

La supernova è un’esplosione provocata da una stella che ne ingloba un’altra più piccola, dando luogo a una reazione violentissima e luminosissima, che dura per un certo tempo. La materia prodotta dall’esplosione si disperde nell’universo e dà vita a nuove stelle, mentre il nucleo collassa su se stesso e crea un buco nero: esplosione, evoluzione e collasso sono anche i tre momenti che costituiscono questo nuovo lavoro de I Pesci, che dopo l’irresistibile Pisci ‘e paranza, tornano al Piccolo Bellini con la parabola di una famiglia. Tre fratelli, cresciuti insieme ma destinati a condizioni sociali divergenti, alla morte grottesca e improvvisa del padre si ritrovano adulti loro malgrado e devono trovare la propria strada. Le reazioni dei ragazzi sono molto differenti: fuga, responsabilità e stallo. La madre, intanto, è la forza attraente e respingente allo stesso tempo, è il nucleo morente intorno al quale si continua a orbitare, poiché plasma il carattere dei figli e ne determina i singoli percorsi. Sette anni dopo, poco prima della sua morte, questi percorsi si intrecciano di fronte al disfacimento della famiglia e delle memorie a essa legate. La fuga e il ritorno in una realtà che non muta, eternamente consegnata al vano tentativo di sfuggire al tempo: si scappa dalla morte per tornare alla morte e l’uomo al cospetto del vuoto, non può far altro che osservare la natura effimera della propria esistenza.

testo e regia Fabio Pisano

con Francesca Borriero, Roberto Ingenito, Claudio Boschi

suggestioni sonore live Francesco Santagata

Celeste di Porto, detta “la Pantera nera”, era un’ebrea del ghetto romano. Non si sa molto di lei, ma dalle cronache del tempo emerge una storia spietata: una bellissima ragazzina di 18 anni che dopo il rastrellamento del ghetto da parte delle SS decide di diventare delatrice. Per gli Ebrei del ghetto inizia un vero e proprio periodo buio: chi veniva salutato con un cenno della mano dalla stupenda Celeste, non aveva scampo. Per ogni “capo”, lei guadagnava cinquemila lire. E non importa se a finire nelle mani delle camicie nere fossero donne, bambini o uomini. No. La Pantera nera era indifferente al genere e all’età. Solo la sua famiglia, doveva essere risparmiata: ma il padre non riuscì a portare questo enorme peso sulla coscienza, e si consegnò alle SS, mentre i fratelli la rinnegarono. Solo la madre continuò a volerle bene.

Una volta caduto il regime, si trasferì a Napoli. Scelse un nuovo nome, Stella Martinelli, e divenne prostituta in un bordello. Un giorno tre ebrei la riconobbero e la denunciarono. Fu portata a Roma, in carcere. Evase e fu ripresa, dovette affrontare il processo. Condannata, uscì nel 1950, tra condoni e amnistie. In quegli anni di detenzione, si disse che ebbe una crisi mistica…

Fabio Pisano porta in scena le azioni commesse da Celeste contro la sua gente, sforzandosi di immaginarne – o inventarne – il perché. Senza alcuna pretesa di assolverla, ma con l’urgenza di narrare.

con Antimo Casertano, Daniela Ioia, Luigi Credendino, Ciro Kurush, Giordano Zangaro

musiche originali Marco D’Acunzo e Marina Lucia

coproduzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini,

Compagnia Teatro Insania e Ass. NarteA

Partner l’Asilo – Ex Asilo Filangieri

Vincenzo Gemito è stato uno scultore partenopeo, nato a metà ottocento e cresciuto da genitori adottivi, poiché abbandonato nella ruota degli esposti; all’età di 9 anni inizia il suo apprendistato nella bottega di Emanuele Caggiano, in seguito studierà ritrattistica, perfezionerà le sue doti di scultore e raggiungerà una certa fama. Afflitto, però, da problemi psichici, e ossessionato dalla continua ricerca della perfezione e dal maniacale tentativo di lavorare non per la conquista del successo ma per la conquista della verità, venne recluso in manicomio. Antimo Casertano indaga e narra la personalità di Gemito e la sua crisi esistenziale, chiedendosi cosa porta un artista alla rovina o alla sua gloria, cosa spinge un artista al blocco emotivo, psichico e professionale. «Bisognerebbe sfatare il mito del genio-folle. Molto spesso chi attraversa un momento insano non riesce a creare nulla di geniale. Parte da questa analisi la volontà di realizzare uno spettacolo e di poterlo portare in scena, non solo per la volontà di ridare luce alla complessa figura di Gemito, ma soprattutto per esplorare questo delicatissimo e profondo momento che riguarda noi “esseri umani” da vicino. Attraverso la sua vicenda cercheremo di esplorare la materia intima che muove un artista, sperando di porre le domande giuste. Sperando di poter aprire le giuste fessure nei meandri delle nostre anime. La risposta come al solito sarà affidata al pubblico.»

di Caryl Churchill un progetto de lacasadargilla regia Lisa Ferlazzo Natoli

con Tania Garribba, Fortunato Leccese, Alice Palazzi, Francesco Villano

suoni e spazio scenico Alessandro Ferroni

traduzione Laura Caretti e Margaret Rose

produzione Teatro Vascello La Fabbrica dell’attore e lacasadargilla

con il supporto di Theatron Produzioni

con il sostegno di Bluemotion

Lisa Ferlazzo Natoli, di cui ricordiamo il recente When the rain stops falling, tratto dal testo dell’australiano Andrew Bovell, che gli è valso numerosi riconoscimenti, porta in scena L’amore del cuore, della drammaturga inglese Caryll Curchill, un altro testo che ci parla di dinamiche familiari e in cui il tempo, in questo caso nella forma dell’attesa, è protagonista della storia. La vicenda  è quella di un padre, una madre e una zia che aspettano il ritorno di una figlia, il loro “amore del cuore”, che però non arriva, qualcosa potrebbe essere accaduto, ma dove? «L’argomento, la storia sono in qualche modo secondari – osserva la regista – perché  l’intenzione principale di Churchill è di distruggere il testo stesso, usandolo per smontare i meccanismi del teatro, della realtà e delle relazioni che all’interno di questa realtà si costruiscono moltiplicando abitudini, rimossi e abissi. Certo c’è un filo narrativo, una piccola storia familiare, punteggiata da fatti e incidenti non esplicitamente legati tra loro, ma percorsi tutti da una stessa preziosa inquietudine, in cui l’ordinaria perversità dell’istituzione familiare e dei suoi meccanismi relazionali e sociali è letteralmente ‘gettata in scena’, per spingersi fino a quella esplosione della parola».  Lisa Ferlazzo Natoli ci regala ancora una volta un lavoro dalla regia elegante ma appassionata, a tratti cinematografica, e fa muovere i quattro magnifici attori all’interno di un meccanismo complesso e precisissimo, fatto di paesaggi sonori, movimenti scenici e suggestioni visive.

drammaturgia e regia Joele Anastasi

con Federica Carruba Toscano, Alessandro Lui,  Enrico Sortino, Joele Anastasi, Ivano Picciallo

da un’idea di Federica Carruba Toscano

scene e costumi Giulio Villaggio

musica originale “scurannu agghiurnannu” Davide Paciolla

testo musica originale Federica Carruba Toscano

video e graphic designer Giuseppe Cardaci

una creazione Vuccirìa Teatro

produzione  Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

spettacolo vincitore di Teatri del Sacro V

Torna in scena al Piccolo Bellini il lavoro più iconico di Vùccirìa Teatro, amatissimo da pubblico e critica nonché premiato nell’ambito de I Teatri del Sacro 2017. La storia, ambientata in un paesino dell’ancestrale Sicilia del 1940, racconta di Concetta, ragazza silenziosa e innocente, che viene barattata dal padre caduto in disgrazia con una capra gravida e affidata a Donna Anna, tenutaria del bordello del paese. Concetta è estranea ai piaceri della carne e a qualunque “adulta” concezione della vita, pertanto, non oppone nessuna resistenza. Del resto nessuno le ha mai spiegato cosa voglia dire fare l’amore, nonostante quella parola le piaccia già. Ben presto la fama della “nuova arrivata” raggiunge tutto il paese: ma nessuno sa di preciso quali piaceri regali agli uomini per farli impazzire così tanto. Scopriamo che malgrado tutti millantino di mirabolanti prestazioni, dentro la stanza del bordello, nessuno di loro l’ha mai toccata. Concetta, infatti, è vergine. Ha il dono di “sentire” l’anima dei suoi clienti; rendendo possibile la loro fragilità nascosta. Dona loro quello che nessuno sa dargli…

Lo spettacolo racconta quale terremoto possa generare l’incontro tra spiritualità e carnalità sul piano della collettività in un microcosmo siciliano fatto di omertà violenza e presunzione, e non è un caso che Joele Anastasi abbia scelto di ambientarlo negli anni ’40, decennio di grandi avvenimenti e cambiamenti, spartiacque essenziale nella storia dell’umanità.

progetto e regia Eduardo Di Pietro

con Renato Bisogni, Alessandro Errico, Marco Montecatino

aiuto regia Cecilia Lupoli costumi Federica Del Gaudio

Residenza per artisti nei territori – Teatro Due Mondi, Faenza

Il Colloquio prende ispirazione dal sistema di ammissione ai colloqui periodici con i detenuti presso il carcere di Poggioreale, Napoli.

In scena, tra tanti altri in coda, troviamo tre donne che attendono stancamente l’inizio degli incontri con i detenuti. Portano oggetti da recapitare all’interno, una di loro è incinta: in maniera differente desiderano l’accesso al luogo che per ognuna custodisce un legame. La galera, un luogo alieno, in larga parte ignoto ed oscuro, si rivela un riferimento quasi naturale, oggetto intermittente di desiderio e, paradossalmente, sede di libertà surrogata. In qualche modo la reclusione viene condivisa all’esterno dai condannati e per le tre donne, che se ne fanno carico, coincide con la stessa esistenza: i ruoli maschili si sovrappongono alle vite di ciascuna, ripercuotendosi fisicamente sul corpo, sui comportamenti, sulle attività, sulla psiche. Nella loro realtà, la detenzione è una fatalità vicina – come la morte, – che deturpa l’animo di chi resta. Pare assodato che la pena sia inutile o ingiusta. Tra scontri e avvicinamenti drammatici e in una dinamica dai picchi comici irresistibili, lo spettacolo ci dà la misura di quanto, per ognuna delle tre donne, il carcere sia una fatalità vicina, come la morte, che ne deturpa l’anima.

Il Collettivo LunAzione, già semifinalista per il Premio Scenario 2017 con AVE, con Il Colloquio vince il Premio Scenario Periferie 2019, è finalista a In-Box 2021 e ha vinto al Premio Fersen alla regia nel 2021.

Lino Sorrentini, Giornalista pubblicista iscritto all’Ordine Nazionale dal 1986, è il fondatore e direttore responsabile di Agendaonline.it, magazine creato nel maggio del 1996. Curriculum Lino Sorrentini

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