A casa della paesaggista Anna Scaravella - Living Corriere

2022-10-14 19:17:20 By : Mr. Ben dai

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A casa della paesaggista Anna Scaravella

A casa della paesaggista Anna Scaravella

«Questo è l’ultimo lotto che abbiamo ristrutturato. È avvolto da due tipi di vite americana. La Parthenocissus quinquefolia è formata da lunghi fusti e ha una crescita rapidissima. Da tenere a mente se si vuole coprire un pergolato. Mentre la Ampelopsis veitchii si aggrappa da sola ai muri e crea una specie di pelle. Mi piacciono, perché cambiano foggia con le stagioni: adesso sono brillanti, in autunno sfumano dal giallo al rosso, in primavera sono tenui, d’inverno, invece, si spogliano e rimangono solo i viticci».

IN GENERALE NON MI INTERESSA AVERE UNA FIRMA RICONOSCIBILE, IL MIO STILE CAMBIA COME LE FOGLIE

A partire dagli Anni 90 con il marito (l’architetto Maurizio Sala scomparso nel 2005) ha iniziato un lungo lavoro di recupero di questi rustici con impianti originali del Settecento e dell’Ottocento: il fienile, la stalla, le abitazioni dei contadini. Le trasforma in ‘isole’ domestiche con la stessa cura che dedica alle sue ‘stanze’ vegetali. In entrambi i casi, ogni ambiente ha un ecosistema tutto suo. Sempre diverso. «In generale non mi interessa avere una firma riconoscibile, il mio stile cambia come le foglie». C’è la tradizione del cotto piacentino, degli archi, della cucina in muratura. Gli elementi industriali: putrelle a vista e tondini di ferro. Le sorprese: pavimenti in polvere di legno e magnesite. Tanto design. La modernità dell’open space, con la palestra, le postazioni di lavoro, la libreria di dieci metri. Contiene i volumi suoi e del figlio Bartolomeo che vive a Londra e di professione fa il lettore, mentre la figlia Isotta, residente a New York, ha lasciato quadri in stile messicano. La cosa interessante sono le finestre: panoramiche, a tutta altezza, a tratti così ben mimetizzate alle pareti che sembrano incorniciare l’aria, più che il vetro. D’altronde servono ad aprire prospettive e qui, ovunque ti giri, vedi un ‘quadro’ verde. Il più bello è quello davanti all’ingresso. Un piccolo capolavoro di tessitura. «Il perimetro è delimitato dai sempreverdi, che disegnano anche la geometria. La forma delle aiuole, invece, è sinuosa. Quindi: ordine e morbidezza. Ho fatto tanti esperimenti, ma alla fine ho selezionato le specie più belle da vedere e più semplici da tenere. Alcune semenzali migrano da sole e invadono i camminamenti. È successo con le campanule. Le ho tolte, ma altre cose le lascio. Occuparsi di verde è come andare a cavallo: un po’ allenti, un po’ tiri».

Per lo più cerchi un equilibrio. «Premesso che i giardini sono delle creazioni artificiali governabili in migliaia di modi diversi, io ho un approccio culturale (laurea in scienze forestali a Firenze e tirocinio dall’architetto giapponese Haruki Miyajima, ndr) che asseconda la natura. Sono un’agevolatrice. Studio il clima, il terreno, l’habitat botanico, le associazioni fitoclimatiche. È difficile che dai miei lavori arrivino brutte sorprese. Sono troppo contadina, capisco la terra, la fatica, lo spreco di energie. Non mi verrebbe mai in mente di mettere il prato in Puglia. L’acqua è un bene prezioso, casomai la usi per l’agricoltura, non per irrigare l’erba a Ostuni. Lì piuttosto faccio spazio a una siepe di fichi d’India e pianto alberi di melograno e sughere che si confondono con il paesaggio». È la grande sfida del futuro: trovare nuovi linguaggi botanici che facciano i conti con la crisi idrica e di manutenzione. Seppure, ammette, «nelle condizioni più avverse si tira fuori il meglio». E lei è una donna che resiste alle intemperie. Anche le più strong. Ha messo barriere fonoassorbenti in quel di Buccinasco, sulla tangenziale Ovest di Milano, non proprio un angolo di paradiso. Progettato un parco pubblico attorno all’antica ciminiera di Gessate. Installato una parete di verde artificiale nel negozio di Dior in Rue Saint-Honoré, a Parigi: «Mai dire mai, i materiali vanno sempre considerati nel loro contesto». Tagliato con una lama d’acqua il quattrocentesco giardino dei Cappuccini a Passignano (ora acquistato da George Lucas) creando un contrasto incredibilmente bene assortito. Fino ad arrivare alla provocazione delle provocazioni, in Val Luretta, dove ha lasciato che semi spontanei trasportati dal vento piantumassero un declivio prativo. Un esperimento di non-intervento e, soprattutto, una scelta ecologica. Una delle tante da fare da qui ai prossimi anni. «Pensandoci bene», dice, «la vite rampicante è forse il rivestimento più economico e sostenibile che io conosca. Richiede  solo qualche foglia da raccogliere, in autunno».

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