Diabolik: intervista alla costumista Ginevra De Carolis

2021-12-28 08:24:11 By : Mr. Gary Ni

Inserito da Martina Barone | Dic 22, 2021 | Film, Moda e Beauty, News | 0 |

Il Diabolik dei Manetti Bros. ha alcune eccellenze al proprio interno. La colonna sonora di Pivio e Aldo De Scalzi, punteggiata dai due brani originali di Manuel Agnelli, le architetture fumettistiche curante da Noemi Marchica e i costumi in stile anni Sessanta di Ginevra De Carolis. Una ricostruzione d’epoca che passa dal connubio tra realtà e finzione, con la ripresa di una moda che ha caratterizzato un decennio e la capacità di saperla inserire all’interno di un mondo fittizio come quello di Clerville. Un lavoro accurato che esalta la fattura completa di Diabolik, precisa come la tutina aderente che indossa il famoso ladro e di cui abbiamo parlato nel particolare proprio con la costumista del film. Tra pezzi di famiglia e cerniere da nascondere, Ginevra De Carolis ci racconta il percorso nella produzione di un’opera che si regge tutta sulla creazione del suo mondo prima fumettistico e, ora, anche cinematografico.

Diabolik è sicuramente uno dei progetti più ambiziosi per i Manetti Bros.. Come è stato il lavoro di creazione insieme ai registi e quanta libertà avevi nel poter esprimere la tua visione sui costumi del film?

“Sono anni che lavoro insieme a Marco e Antonio e così, come con loro, anche col resto di gran parte della troupe. Questo genera una fiducia tra persone e compartimenti, oltre a rendere quella di un film non solo un’esperienza lavorativa, ma anche umana. Il nostro rapporto di fiducia perciò era consolidato, ho avuto la possibilità di portare le mie idee, pur essendo i Manetti un tipo di registi che seguono attentamente ogni fase della produzione. Dirigono, anche quando non si tratta della macchina da presa. Essendo inoltre produttori questa loro visione dell’alto aumenta, ma al contempo non si perde mai la sinergia che nasce da uno scambio sincero di intuizioni. Se loro dunque, per propria natura, hanno un gusto da cinema più periferico in questa occasione si sono affidati completamente al mio sguardo più elegante e raffinato. Devo dire che da questa loro direzione assieme al mio lavoro è nato un buon connubio e un’intesa che non è affatto scontata.”

Intesa che dovevi avere anche col settore scenografico e che vediamo benissimo riportata sullo schermo.

“Devo ammettere che la scenografa di Diabolik, Noemi Marchica, è una mia grandissima amica. Siamo legate a prescindere, ma quando si lavora insieme ci si avventura in un percorso di studio e di ricerca simbiotico. E in questa sintonia erano proprio Marco e Antonio a guidarci. È così che si crea la magia, soprattutto quando scopri che si è finiti per trovare e scegliere più elementi che combaciano. Costumi e scenografie, poi, sono di per sé ambiti che non possono lavorare separati e per seguire una linea comune abbiamo preso come references per il nostro lavoro i film di Hitchcock. Molti lo stanno notando e la cosa mi fa felice. Inoltre si legava al tipo di film che i Manetti volevano: pieno di suspence, atipico, e non certo accomunabile ad alcun genere di blockbuster.”

La ricerca maggiore sarà stata quella in riferimento agli anni Sessanta. Come si ricostruisce un decennio che però è inserito anche in un contesto fumettistico?

“Bisogna ragionare sulla vita comune. Non bastano dei capelli cotonati o un cappello di Channel. Devi pensare a che persone ti stai approcciando, cosa portavano realmente in quel periodo, qual era l’oggettistica che li caratterizzava. Prendiamo i personaggi di Serena Rossi e Miriam Leone: Elisabeth è una donna più comune che però ha comunque un’ispirazione classica come quella di Elizabeth Taylor o di Sophia Loren, Eva Kant ha invece un respiro più internazionale per quanto Clerville sia uno stato di fantasia.”

Un’ispirazione che si alterna quindi tra la finzione della carta stampata e la vita vera.

“Esattamente. C’è stata una grande ricerca incentrata sui magazine di moda, sulle riviste e i film. Ma la ricerca storiografica si è spostata anche su un ambito molto personale. Le foto della mia famiglia sono diventate fondamentali per la realizzazione dei costumi di Diabolik. Ho rubato le pellicce delle mie nonne e le ho portate sul set! Ora però sono di nuovo nel mio magazzino che cresce mano a mano dopo ogni film.”

Se pensiamo a una fotografia di Diabolik, invece, non possiamo che immaginarlo con la sua tutina nera aderente. Che sfida è stata quella di ricostruirla? Avete usato degli effetti digitali per migliorarla sul grande schermo?

“Nessun effetto digitale! Avevamo giusto il cappuccio nero in lattice fatto da Sergio Stivaletti. Siamo stati indecisi sulla tutina fino agli ultimi giorni prima di cominciare. I Manetti hanno preso ispirazione da Mario Bava per la creazione della tutina, non volevano che si trattasse di qualcosa di estremamente finto o supereroistico. Doveva essere quello che, verosimilmente, un uomo negli anni Sessanta indossava per mimetizzarsi nel buio e muoversi agilmente. È per questo che guanti e stivaletti sono accessori che si notano nel costume di Diabolik e lì dove non c’è azione indossa un semplice dolcevita, come accade nei fumetti. Devo dire che sono parecchio soddisfatta vista la sfida e la paura: sono giorni che vado in giro per forum, sai come possono essere gli appassionati, eppure non ci sono critiche aspre!”

Se da una parte c’era un’iconografia da dover rispettare, dall’altra avevi Eva Kant in persona. Com’è vestire Miriam Leone? O dovremmo dire: vestire proprio Eva Kant?

“Ricordo che quando venne a vederla Enzo Facciolo (tra i disegnatori di Diabolik dal 1963) disse: è perfetta. Non si tratta solamente della sua bellezza, ma dall’incredibile presenza scenica. Sia Miriam che Eva rappresentano un’eleganza e una sensualità che sono veicolate dal loro aspetto fisico, ma al contempo da un chiaro magnetismo celebrale. Miriam vive quello che indossa e questo ha reso ancora più naturale un aspetto inevitabile di Eva Kant ossia il suo distaccarsi dal resto delle persone e non passare mai inosservata. Ad esempio all’inizio: lei risalta col suo completo scollato bianco e nero rispetto al resto dei personaggi, ma è impossibile pensare che sia fuori luogo perché lei è semplicemente così.”

E se dovessi scegliere il tuo outfit preferito di Diabolik?

“Direi quello di Eva quando aspetta Diabolik al bar con mantella e cappellino. Lo scialle di volpe era della mia famiglia! Lì era davvero strepitosa. Poi Luca Marinelli nei panni di Walter Dorian, trovo stesse molto bene con quel completo nero. E la vestaglia glicine di Elisabeth. Sicuramente ognuno è un pezzo di cuore!”

Martina Barone nasce a Roma il 3 settembre 1996, cresce convinta di far parte di una commedia di Woody Allen il quale diventa, per l'appunto, il suo regista e sceneggiatore preferito. Sceglie molto presto di voler proseguire il mestiere di critica cinematografica, andando contro la convinzione di François Truffaut che nessun bambino desidera intraprendere questo mestiere da grande. Continua insistentemente a parlare di cinema, per questo si ritiene una persona noiosa. Ha un amore per Steven Spielberg causato da traumi universitari, per questo sogna spesso di essere ingoiata da uno squalo.

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